L'ARTISTA-INTERPRETE

AFQ

AMORES DE TIERRA

Omaggio a Atahualpa Yupanqui

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LOS EJES DE MI CARRETA (R. RISSO – A.YUPANQUI)

CHACARERA DE LAS PIEDRAS (PABLO DEL CERRO – A. YUPANQUI)

BAGUALA DEL POBRECITO (A. YUPANQUI)

CAMINO DEL INDIO (A. YUPANQUI)

PREGUNTAN DE DONDE SOY (G. GUEVARA – J.E. ADOUM)

LUNA TUCUMANA (A. YUPANQUI)

HE VISTO CRUZES DE PALO (R. CUELLO – A. YUPANQUI)

PERO A MI NUNCA MAS (PABLO DEL CERRO – A. YUPANQUI)

LA POBRECITA (A. YUPANQUI)

DUERME NEGRITO (MOTIVO TRADICIONAL)

LA FLECHA YA ESTA EN EL AIRE (PABLO DEL CERRO – A. YUPANQUI)

 

Recensione di Daniele Cestellini – Bloogfolk.com 08/2015

Torniamo a parlare di Antonio Francesco Quarta in occasione dell’uscita di “Amores de tierra”, il nuovo album che il cantautore di origini salentine ha dedicato al cantante e chitarrista argentino Atahualpa Yupaqui. Come è stato sottolineato a proposito di “Verdeluna Verdemar” – l’album del 2014 nel quale Quarta aveva selezionato una serie di brani della cantante messicana Chavela Vergas – lo stile e l’idea sono riconducibili a una costruzione dell’album che guarda all’insieme. Che guarda, per dirla meglio, a un insieme coerente, ovviamente composto e determinato dalle sue singole parti, e quindi alla prospettiva del concept. Torno a dire che non si tratta di un elemento secondario. Perché questa prospettiva, oltre a riflettersi nella selezione dei brani (che è importante ma rimane marginale, almeno nelle prime fasi della progettazione), riverbera un insieme di riflessi sul profilo generale dell’album. Il quale si delinea, fin dai primi ascolti, come l’omaggio a una figura, a un personaggio e al suo universo simbolico, e come una scelta narrativa, con dei riflessi impliciti ed espliciti. E ancora, si configura come coerentemente calato sulla visione di Quarta. Il quale, come ha dimostrato anche in passato attraverso una discografia articolata e meditata, riesce a dosare interpretazione (la sua posizione, i suoi filtri, le sue idee), ammirazione per un repertorio specifico (conosciuto, diffuso tra un pubblico più curioso e “ricercatore”, ma non popolare nello scenario mainstream internazionale), interpretazione e una certa voglia di divulgare i contenuti dei brani selezionati (per questioni di ordine musicale e artistico, ma probabilmente anche culturale e politico). D’altronde anche in “Amores de tierra” ritorna una figura forte (molto conosciuta in Argentina, ma non solo: sia Paolo Conte che Vinicio Capossela lo hanno citato nei loro lavori), che ha fatto convergere nel suo repertorio sia le culture musicali popolari sia un’idea di musica intesa come espressione sociale, e quindi politica. Nell’interpretazione di Quarta, le undici tracce che compongono la scaletta sono proposte con chitarra e voce, seguendo una struttura che si può definire tradizionale di quella forma di cantautorato cui si riferiscono. In realtà, come è evidente, si tratta di una narrazione che ci riconduce non solo ad Atahualpa Yupaqui (il cui vero nome è Héctor Roberto Chavero Aramburo), ma allo scenario folk internazionale. E questo – anche se dentro un quadro di incastri forse scontato – chiude il cerchio, permettendomi di corroborare una semplice ipotesi che mi ha pungolato dal primo ascolto del primo brano. Siamo in una scena sudamericana – di cui abbiamo sommariamente accennato qualche elemento di carattere generale – che coincide con una scena più ampia. I brani sono contrassegnati da contenuti anche politici (in scaletta trova posto “Preguntan de donde soy” di Guevara e Adoum), lo stile adottato nella riproposta più che filologico può essere definito empatico. Cioè, artisticamente ma anche idealmente, molto vicino alla matrice. Per questo “Amores de tierra” lo considero un esempio di folk compiuto. E non perché non possa fare a meno di definirlo in relazione a una categoria. Ma perché credo che sia un tentativo capace di dimostrare come si possa sviluppare il progetto di riproposta di un repertorio strutturalmente complesso. Le soluzioni adottate da Quarta, d’altronde, riflettono il suo stile personale (un canto morbido, la costruzione di linee melodiche equilibrate, sostenute, dinamiche ma ordinate, placide, un andamento ritmico coerente con i contenuti testuali), assecondato dalla chitarra di Dino Doni. Che avvolge il canto con un accompagnamento deciso e costante. Il quale viene spesso ampliato – in alcuni passi tra una strofa e l’altra, nei prologhi, negli intermezzi musicali – con linee melodiche e variazioni, senza perdere di vista la linea di fondo: in questo senso “Chacarera de las piedras”, “Luna Tucumana” (due brani sostenuti in cui la chitarra assume una funzione ritmica più marcata), “La pobrecita” e “Baguala del Pobrecito” sono più rappresentativi degli altri.

 

Recensione di Matteo Tangolo – QuiSalento 15-31/08/2015

La voce delle radici

Dalla terra alla terra, percorrendo un cammino lungo migliaia di chilometri, un viaggio transoceanico alla volta dell’Argentina.

Antonio Francesco Quarta, con il suo “Amores de Tierra”, musicista salentino di base a Conegliano Veneto, vuole ricordare a se stesso e agli altri che basta una voce, basta una chitarra, basta saper ascoltare parole antiche per ricordarsi che temi universali come le proprie radici e lo sradicamento, le partenze e le emigrazioni, la povertà e lo sfruttamento, l’identità e la sua perdita, accomunano molti luoghi sulla faccia della terra. Di nuovo quella terra è la protagonista degli undici brani del disco, dove il cantante è accompagnato soltanto alla chitarra classica del maestro Dino Doni. Un sentito e personale omaggio ad Atahualpa Yupanqui, forse l’artista più rappresentativo della musica folklorica argentina del ‘900. “Los ejes de mi carreta” (ripreso in tempi recenti anche da Capossela con “Abbandonato”), “Baguala del probrecido”, l’andina “Luna tucumana”, “Duerme negrito”, “He visto cruces de palo”, “Preguntan de donde soy” e gli altri canti sono mani che affondano nel terreno, granelli che sporcano le dita insinuandosi tra le unghie e le pieghe delle nocche. La voce calda ed educata, il pizzico sulle corde attento, sicuro e delicato, che si muove agile tra milonghe, ritmi latini e cileni, e ballate folk, sono un soffio potente sul velo di polvere che tenta di ammantare le voci di un tempo.

Recensione di Flavio Poltronieri – Estatica.it 09/2015

Per la prima volta in Italia qualcuno dedica un intero disco all'opera di Atahualpa Yupanqui, il poeta dei campesinos. Finalmente! Ci ha pensato la voce di Antonio Francesco Quarta accompagnato alla chitarra da Dino Doni: artisti, come parecchi in questi ultimi tempi, provenienti dalla Puglia che si dimostra una volta di più terra sensibile. Negli anni, molti hanno omaggiato il grande vecchio della pampa: Gato Barbieri, Victor Jara, Inti Illimani, Mercedes Sosa, Lila Fernandez, Suma Paz, Angel Parra, Lidia Borda, Bia/Lhasa de Sela, ma in Italia solo Paolo Conte, Daniele Sepe e Vinicio Capossela l'hanno talvolta citato. In "Amores de Tierra" la selezione dei brani privilegia essenzialmente il tema dell'amore per la propria terra e per le proprie radici e sembra cercare le sue similitudini con quella del Salento e con la sua storia passata di miseria e sfruttamento (vedi l'opera di Matteo Salvatore) e quella attuale che parla di quotidiani sbarchi di immigrati e di barconi rovesciati. Le canzoni di Don Ata raccontano della vita dura degli indios e delle ingiustizie subite, delle morti dimenticate e senza nome del sud del mondo. La voce a dorso di mulo di questo trovatore senza età, di questo vagabondo senza biografia dalla faccia che pare scolpita nella pietra , così ci canta: "...il mio cuore è pesante, mi impedisce di volare ai piedi del tempio di Pachacùtec; perché farmi soffrire così? Solo l’albero gli rispose, l’albero di nome Juan: ”neppure io ho mai imparato a volare, gli uccelli crudeli fanno il nido fra i miei abbracci ma sempre infine volano via”. E il suo canto vale più dell'oro delle miniere perchè è guidato dagli occhi del cielo, cresce da radici disperate, da muscoli, lacrime, carbone e sale. Il suono poi, delle sue inimitabili corde, è quello delle Ande profonde a nord delle solitudini di Catamarca e Tucumàn, quello del pianto delle spighe a Campo de la Cruz, della canna da zucchero che cresce nella chocarera. Nessuna musica più di quella di Atahualpa Yupanqui ha saputo toccare il cuore di tutti: ad ascoltare le sue note d'oro che galoppano nelle vene delle rocce rosse indigene nella "Danza De La Paloma Enamorada" o nella "Danza Del Maiz Maduro" capisci che sei davvero al cospetto del suono della chitarra di un dio. Non dimenticherei che i testi di molte delle sue canzoni sono opera della penna di Pablo Del Cerro, pseudonimo di Antoinette Paula Pipino Fitzpatrick (Fanny, per i suoi amici), la moglie di Atahualpa (che a sua volta aveva scelto di chiamarsi così in onore all'ultimo sovrano inca). E in queste liriche, le tracce di lingue antiche rimangono aderenti alle leggende: "Io sono la Cordigliera, il fiume e il huanaco, sono la terra e la savana d'oro, il prodigioso mais e l'orzo azzurro. Hai mai visto qualcosa di più potente della mia grande speranza? E conosci più del mio silenzio? Io, che non ho salvato dall'ombra che una manciata di bambini, colore di eternità, di bronzo e di pietra, a te li affido, fratello bianco. Aiutali a rialzarsi! La terra è così vasta, come la pena indiana."

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